giovedì 16 aprile 2015

Violenza domestica

13/03/2015





La violenza alle donne, in qualsiasi forma si presenti, e in particolare quella che si manifesta in ambiente familiare, è uno dei fenomeni sociali più nascosti ed è considerato come punta di un iceberg dell’esercizio del potere e di controllo dell’uomo sulla donna. Questa violenza si estrinseca in diverse forme come quella fisica, psicologica, sessuale, economica e stalking.

Il termine violenza domestica è un termine maturato in seno alla cultura anglosassone e usato in letteratura, per indicare la violenza degli uomini verso le loro partners. Si deve porre attenzione a questo termine poiché non è interscambiabile con il termine “conflitto tra i coniugi”.

Il termine conflitto, deriva dal latino Confligo, confliger: far incontrare, opporre, mettere a confronto/contrastare. Esso rimanda ad una condizione di possibilità di reciprocità, parità tra le persone e possibilità di dialettica e quindi una condizione assente in una situazione di maltrattamento. Infatti quando si parla di violenza non c’è reciprocità, né relazione ma una posizione asimmetrica, di sopraffazione che crea emozioni terrificanti e paralizzanti. Da quanto detto la violenza domestica viene riconosciuta come reato dal nostro ordinamento (art.572c.p.) poiché lede la dignità e il benessere psicofisico della vittima.

Molte sono le definizioni possibili per descrivere la violenza tra le tante quella definita dalla Task Force dell’APA (1996) definisce la violenza domestica come “un pattern comportamentale violento, che include una gamma di maltrattamenti fisici, sessuali e psicologici, usati da una persoan nei confronti di un’altra nell’ambito di una relazione intima al fine di ottenere e mantenere un costante potere e controllo sulla vittima.

La violenza domestica è la forma più comune di violenza contro le donne il cui obiettivo è dominare e sottomettere la donna poichè viene considerata un oggetto di sua proprietà di cui può disporre come meglio crede.

    Ventimiglia (1986), nel suo studio sulla violenza domestica, rileva la caratteristica determinante di continuità e cronicità che sovrappone i diversi tipi di violenza quanto più questa si protrae nel tempo.

A questo concetto di continuità e reiterazione è collegato il “ciclo della violenza”.

La violenza domestica comprende diversi tipi di comportamenti violenti che possono alternarsi, susseguirsi o e sovrapporsi.

La violenza fisica include:


  •     Atti di aggressione fisica come schiaffeggiare, tirare calci,pugni, spinte, morsi,sputare, afferrare al collo, strattonare, bruciare, bloccare nei movimenti, sbattere al muro, chiudere a chiave in una stanza, minacciare con armi, ferire con armi, privare del cibo, privare del sonno, impedire le cure mediche .

La violenza psicologica è spesso negata e banalizzata, addirittura può essere non riconosciuta, ma produce anch’essa dei danni psicofisiologici. Inoltre la violenza fisica ha sempre all’interno di questi comportamenti la violenza psicologica.

La violenza psicologica include:

  •     Abusi psicologici come insultare, svalutare, umiliare, deridere, rompere o danneggiare oggetti della donna, controllare su frequentazioni e attività, isolare da amici e/o parenti, minacciare di aggressione, di suicidio e/ o omicidio, minacciare di sottrarre i figli, minacciare di far male ai figli parenti amici animali, colpevolizzare per proprie inadempienze, minacciare di sottrarre il sostentamento e/o l’alloggio, perseguitare, pedinare, accusare di continue infedeltà, essere messa al corrente di dettagli di relazioni con altre donne.

La violenza economica include:

  •     Una serie di comportamenti che permettono di controllare e/o limitare l’accesso alle finanze, negare l’accesso alle finanze, occultare ogni tipo di informazione sulla situazione patrimoniale, vietare l’accesso a un lavoro, ostacolare o boicottare lo svolgimento di un lavoro, vietare l’uso dell’automobile, ostacolare l’acquisizione della patente, non adempiere ai doveri di mantenimento stabiliti da leggi e sentenze, sfruttare come forza lavoro nell’azienda familiare (senza retribuzione, potere decisionale e accesso ai mezzi finanziari), appropriarsi dei proventi del lavoro esclusivo della donna usandoli a proprio vantaggio, indebitare la donna per proprie inadempienze, attuare ogni forma di tutela giuridica ad esclusivo proprio vantaggio e a danno della donna (regime patrimoniale dei beni, questioni ereditarie, intestazioni immobiliari, attività produttive), fornire il denaro per la sussistenza della donna e dei figli in cambio di obbedienza ai suoi voleri o desideri (richieste di pratiche sessuali non desiderate, richieste di rompere rapporti con famiglia e/o amici…)

Gli effetti della violenza economica si rivelano come uno degli ostacoli più grossi del momento in cui la donna vuole intraprendere un percorso di uscita dalla violenza, in quanto deve far fronte alle reali possibilità di sopravvivenza e di soddisfazione di bisogni primari per se e i suoi figli.

Violenza sessuale:

  •     mettere in ridicolo i comportamenti sessuali della donna e le sue reazioni, fare pressioni perchè si sottoponga ad atti sessuali non desiderati, minacciare di stupro, stuprare, obbligare ad abortire, obbligare a prostituirsi, obbligare a dare prova di verginità, condizionare l’accesso alle risorse per la propria sussistenza a prestazioni sessuali

lo squilibrio di potere è ancor più difficilmente identificabile e nominabile all’interno della violenza sessuale; esiste infatti un modello di rapporto tra maschi e femmine per cui una certa quantità di “violenza”è scontata e legittima, perché altrimenti la donna non accetterebbe, per sua natura, un rapporto sessuale. spesso il partner giustifica l’imposizione di un rapporto sessuale indesiderato con parole quali: “è una necessità fisiologica”, “io ne ho bisogno”, “se tu non vuoi farlo, mi costringi ad andare a puttane”, “io sono un uomo di sani appetiti”… dopo un’aggressione verbale o fisica, non è raro che il partner pretenda un rapporto sessuale che può esser vissuto dalla donna come tregua e dall’uomo come resa incondizionata e massima espressione del suo potere sulla donna

Il termine “stalking” indica, secondo la letteratura scientifica specializzata, le molestie assillanti, intendendo l’insieme di comportamenti molesti e continuativi, costituiti da ininterrotti appostamenti nei pressi del domicilio e del posto di lavoro o degli ambienti comunemente frequentati dalla vittima, ulteriormente reiterati da intrusioni nella sua vita privata alla ricerca di un contatto personale per mezzo di pedinamenti e telefonate indesiderate. Si intende, inoltre, l’invio di lettere, biglietti, e-mail, sms, fino ad arrivare al compimento di atti mirati a danneggiare beni materiali, in modo persistente ed ossessivo, in un crescendo culminante di minacce, scritte e verbali, degenerando talvolta in aggressioni fisiche. Tutto ciò, o parte di esso, se compiuto in modo persistente e tenace da indurre anche solo paura e malessere psicologico o fisico nella vittima, è stalking, e chi lo attua è uno stalker. Lo Stalking si differenzia dalla semplice molestia per la frequenza e per la durata dei comportamenti assillanti (Cursi P., Galeazzi G. M., Secchi C.; 2003).

Nel 1979 L. E. Walker definì il ciclo della violenza come un vortice perverso in cui la donna viene inghiottita.

La teoria del ciclo della violenza parte dall’idea della coesistenza di più fasi: 1 fase di origine della tensione (tension Building), 2 fase attiva degli episodi di violenza (active battering incidents), 3 fase di luna di miele (love contrition).

All’inizio la violenza non si manifesta direttamente ma può trapelare dal comportamento non verbale attraverso la mimica, i silenzi che sono veri e propri mutismi, oggetti che vengono rotti fino ad aumentare sempre più per creare quella fase che si chiama crescita della tensione.

In questa fase la vittima di violenza sente la crescente tensione perciò comincia ad agire, non come rilevò la Walker che indicava nelle donne una “impotenza appresa”, ma dai studi odierni vediamo come la vittima cerca di agire con piccoli comportamenti o atteggiamenti per “calmare le acqua”. Questo intervento quasi mai è utile perciò e si arriva alla fase di aggressione in cui avviene l’atto di violenza. L’inizio, la durata e la fine di questa fase risultano imprevedibili, dipendono soltanto da chi agisce violenza. Una volta concluso l’episodio acuto inizia la terza ed ultima fase descritta d E. Walker, la fase della luna di miele. In questa fase la tensione e la violenza spariscono e l’uomo si mostra dispiaciuto e pieno di rimorsi, porge alla vittima le sue scuse e promette un cambiamento. Questi comportamenti di “riparazione, seduzione e scuse” messe in atto dall’uomo hanno una valenza manipolatoria, infatti la donna crede nel pentimento e lo perdona cercando giustificazioni per l’evento accaduto.

Le speranze del cambiamento vengono ben presto disilluse poiché nessuno cambia da solo ma solo attraverso un percorso di riconoscimento della violenza e presa di responsabilità dei propri comportamenti. Proprio per questo negli ultimi anni sono nati anche i primi centri che si occupano di uomini autori di violenza per cercare di rompere quel circolo disfunzionale che tiene in trappola la donna in una relazione tossica.

A favorire il restare la donna nella relazione maltrattante non è solo il ciclo della violenza ma anche l’incapacità di vedersi “vittima di violenza”, l’incapacità di leggere la violenza a causa di una cultura prevalentemente maschilista: La presenza dei figli, la paura che le vengano portati via oppure che venga fatto a loro del male. La paura che l’uomo faccia male ai suoi cari, l’assenza di un luogo dove andare, la mancanza di una rete sociale e di risorse finanziarie.

Da tutto quanto detto sopra la spirale della violenza viene interrotta con la parola, parlare e chiedere aiuto è il primo passo verso il riconoscimento del fenomeno e del malessere che spesso negato dalle vittime. Ridefinire la situazione maltrattante permette alla donna di riconoscersi come vittima e dare in maniera chiara la responsabilità all’autore dei maltrattamenti.



Dott.ssa Lucia Magionami

Articolo pubblicato su Agorà giornale telematico

mercoledì 8 aprile 2015

Il messaggio dell'Unicef sulla violenza domestica




UN BAMBINO O UNA BAMBINA CHE ABBIANO VISSUTO UN’INFANZIA CARATTERIZZATA DA ABUSI E MALTRATTAMENTI, SIANO ESSI FISICI, PSICOLOGICI O ENTRAMBI, POTREBBERO REITERARE O RIVIVERE LA VIOLENZA SPERIMENTATA IN FAMIGLIA COME MODALITÀ DI “ENTRARE IN RELAZIONE CON L’ALTRO” APPRESA DAI MODELLI GENITORIALI.

La trasmissione della violenza familiare di generazione in generazione è attualmente oggetto di studio, con particolare attenzione alla connessione con la regolazione emotiva e gli aspetti di relazionalità familiare che svolgono un ruolo fondamentale nello stabilire il benessere emotivo e lo sviluppo relazionale dei bambini.

Siegel (2013) sottolinea come i bambini che assistono a violenza all’interno della coppia genitoriale correrebbero un rischio maggiore di riviverla nelle relazioni intime da adulti.


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giovedì 2 aprile 2015

Twitter e l’abuso dei social




Un tenero uccellino che si trasforma in una sorta di volatile mostruoso da cui è difficile liberarsi: una divertente parodia di Twitter è il nuovo videoclip di Stromae, “Carmen”. Il brano, contenuto nell’album “Racine Carée” del 2013, è illustrato con un cartone animato diretto da da Sylvain Chomet, ed è una citazione dall’opera di Bizet. L’artista belga aveva spiegato a BuzzFeed Music: «Nel 1875 Bizet faceva un paragone tra l’amore e un uccello ribelle. Centoquaranta anni più tardi (e in un messaggio di 140 caratteri) “l’amore è un uccello blu”