mercoledì 22 marzo 2017



LA VIOLENZA NEL LINGUAGGIO






La violenza nel linguaggio è una delle forme più subdole e potenti di aggressione. Infatti da una lato le parole hanno il potere di lasciare un segno forte che può durare anche molti anni. Dall’altro la violenza verbale è socialmente legittimata fino al punto di considerarla normale. Inoltre non essendo visibile come la violenza fisica è più difficile da riconoscere e da intervenire. Davanti a parole screditanti ed offensive ci ritroviamo colui che le ha dette a sostenere di non aver fatto nulla di male e che la frase è mal interpretata e che a volte si dice per dire. Queste banali giustificazioni non tengono conto che le parole violenti equivalgono a colpi, a ferite che colpiscono l’anima di chi le riceve. Il linguaggio violento danneggia le relazioni fino a romperle, oltrepassando il limite del rispetto e dell’altro.

Una espressione di violenza verbale molto diffusa è “animalizzare”. Si tratta di scegliere di attribuire al nostro interlocutore l’appellativo di un animale. Un esempio: “sei un asino” per definire una persona non molto capace di fare qualcosa, oppure “sei una bestia” verso colui che sbaglia o usa la forza senza riflettere.

Questo modo di comunicare è talmente normale che è entrato a far parte del nostro linguaggio comune, fino ad essere socialmente condiviso tranne che se la frase viene ripetuta frequentemente e accompagnata con altri gesti paraverbali che indicano il disprezzo. Molto spesso questa “animalizzazione” viene usata anche per descrivere dei nostri comportamenti causando così un effetto valanga che colpisce e stravolge il rispetto e la considerazione per se stessi e per gli altri.

Nelle persone ansiose ci troviamo di fronte alla descrizione dei loro sentimenti e emozioni negative in termini giganteschi: iperbole.

Queste persone non provano “rabbia”, ma “furia tempestosa”, non dicono di essere “tristi”, ma “lacerati fin dentro l’anima”. Usano termini sempre straordinari per esprimere il dolore poiché per loro è fondamentale stupire e “violare” l’altro ma no comunicare. 

L’effetto che scaturisce questo tipo di scelta comunicativa è l’insensibilità di chi ascolta dal momento che la ripetibilità di iperbole crea abitudine e non più stupore.

In questi due esempi, i significati della parola si perdono. Non sono espressioni destinate a favorire la comprensione, piuttosto sono termini la cui funzione principale è l’aggressione

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