martedì 21 aprile 2020

Riflessioni (dopo 40 giorni )di una psicoterapeuta in confinamento



Dopo più di un mese dalle mie prime riflessioni sui sentimenti e le emozioni che vivo e viviamo durante questo periodo di lokdown torno a scrivere affidandomi alle parole di un grande scrittore che ci ha lasciato pochi giorni fa, portato via dal covid-19. Scrive Luis Sepúlveda: 

“Nella tua vita avrai molti motivi per essere felice, uno di questi si chiama acqua, un altro ancora si chiama vento, un altro ancora si chiama sole e arriva sempre come una ricompensa dopo la pioggia.”

La nostra vita è cambiata improvvisamente a causa di un nemico invisibile ma molto forte. Da un giorno all'altro i ritmi, il tempo e la vita quotidiana si sono fermati! Siamo sospesi in un "tempo altro", in pausa.

Tutto il mondo umano si è fermato, ci siamo trovati spettatori e non più protagonisti spogliati dal nostro ruolo. Il covid-19 ci ha messo difronte alla nostra fragilità, alla nostra umanità da noi spesso dimenticata, nel desiderio di onnipotenza. Abbiamo capito che non possiamo fare tutto e sopratutto non possiamo fare da soli, ma insieme agli altri possiamo fare molto. Si è riscoperta la solidarietà più minuta nei gesti concreti verso gli altri, senza clamore e telecamere: il tendere la mano al vicino di casa fino a giorni fa mai nemmeno salutato.

L'ordinaria quotidianità, ritenuta banale, è diventata l'evento eccezionale come il semplice atto di uscire per fare la spesa. Nelle prime settimane di confinamento ognuno di noi ha agito come ha potuto, ma ha agito: cucinato, panificato (abbiamo perfino imparato a fare i lievitino, quello sconosciuto); ci siamo dedicati alle pulizie profonde della casa, al riordino di cassetti dimenticati ma adesso, superati i 40 giorni sono subentrate la stanchezza, la noia, l'ansia e domina la preoccupazione per il futuro.

Il presente è sempre più difficile da vivere ognuno di noi lascia più spazio alla rabbia incolpando gli altri, cercando soluzioni a volte poco realizzabili ma credendo di poter cambiare tutto e subito perché in questo confinamento nessuno di noi sta più bene. Non dobbiamo cadere in questa trappola di escalation di insofferenza e violenza ma cercare di vivere il presente e porre davanti a noi dei piccoli obbiettivi giornalieri che diano senso alla giornata, che resta pur sempre tempo da vivere pienamente. Dobbiamo coltivare un piccolo orto (per chi ha terra o terrazza) o tornare a cucinare, non perché il cibo è consolatorio ma perché in un momento in cui sentiamo la necessità di controllo e di trasformazione veder crescere una piantina, lievitare il pane o cuocere un dolce ci dà il ritmo del tempo e l'idea che possiamo essere una presenza attiva nel cambiamento, ritrovando così quel ruolo ormai lontano della nostra vita prima del covid-19.

Usiamo questo "tempo di pausa" rispettando il nostro sentire senza riempirlo se non lo sentiamo necessario, libere e liberi dai sensi di colpa, se non riusciamo a fare. Ascoltiamo il nostro ritmo interiore come risorsa per prepararci alla ripartenza che non sarà sicuramente facile ma ci farà amare quelle piccole cose che prima non guardavamo più con gli occhi dello straordinario come un caffè al bar.





Torneremo a prendere il caffè al bar . E sarà BELLISSIMO!!!

domenica 19 aprile 2020


Violenza domestica durante il lockdown
Riflessioni

Il confinamento nelle proprie case rende i rapporti tra le coppie dove esistono dinamiche di violenza ancora più difficili. 
Mentre nei primi giorni di lockdown i centri antiviolenza hanno evidenziato un calo del 55% di richieste di aiuto ora i dati sono notevolmente aumentati: il 75% in più. 
Questo fenomeno non è solo dovuto ai numeri nascosti, ossia ci sono stati casi di violenza all'interno del nucleo familiare ma non le richieste di aiuto, poiché la vittima ha pensato di poter gestire la situazione, giustificando ciò che giustificabile non è. 
Oppure la donna non è riuscita a chiamare il 1522 per via del controllo eccessivo da parte del partner. 

Credo però che ci sia da fare una nuova riflessione, dovuta al momento che stiamo vivendo, un momento nuovo per tutti noi. 
Il lockdown nei primi giorni ha creato nella mente del partner che agisce violenza una specie di “realtà altra“ dove lui aveva il massimo del controllo sulla partner. Potrei definire questo vissuto emotivo come "una vacanza" da tensioni intime, tra controllo e paura di perdere il controllo, che causa in queste persone quella rabbia che nasconde una frustrazione e un dolore impossibile da gestire. 
Poi con il passare dei giorni (ormai più di 40), i meccanismi della violenza come ci insegna la E. Walker nel ciclo della violenza (1959) sono cambiati la tensione è risalita e senza una reale giustificazione gli scoppi di violenza sono arrivati. 
Ora più che mai ogni figura professionale sanitaria, oltre i centri antiviolenza che non si sono mai fermati  in questo periodo, deve essere in grado di conoscere e riconoscere ogni piccolo segnale che arriva da parte della vittima per intervenire precocemente in modo competente e concreto.